Prova - Triumph Trident 660, una moto con cui è bello perdercisi

2022-08-05 06:38:34 By : Mr. Jack Liu

Non chiamatela entry level. La Trident 660 è una moto valida e matura, Triumph è riuscita a realizzare una moto perfetta per iniziare o ricominciare quanto appagante in mani esperte. Telaio valido, forcella da rivedere e motore degno di lode per linearità e grinta. 81 cavalli bastano su strada? Diamine, erogati così sì! Le bastano 5 secondi per passare da 70 a 120 km/h in sesta.

Non mi aspettavo chissà che prodigio motociclistico provando la Trident 660. Con 80 e uno cavalli su 179 kg, senza benzina, ero pronto a incontrare una motocicletta facile, perfetta per imparare o per la guida disimpegnata, senza guizzi o eccessi. Non mi aspettavo nulla di grintoso e sportiveggiante. Le motivazioni che mi hanno spinto a chiederla in prestito a Triumph Italia, per portarla sulle pagine di questo blog, è stato il motore, un’unità praticamente nuova capace di andare oltre i 10.000 giri e tricilindrico, unicum nella categoria delle medie per tutte le tasche.

Attendevo una moto come le tante che già affollano la categoria delle medie A2, magari sopra la media per la cura nei dettagli. Mi son dovuto ricredere. Questa Trident 660 è spassosa, vera. Dà gusto, nei piccoli spostamenti come nelle gite puntando a colline e montagne. Assecondando anche certe velleità sportive. Si tratta di una moto che mi sento di definire perfetta per vagabondare a cuor leggero, perché facile e rassicurante. Una roamer con cui è bello perdercisi e perdere tempo, a qualunque andatura. Triumph con questa sua nuova Trident mi ha ricordato l’importanza di non giudicare un libro dalla copertina, nello specifico che una moto va provata prima di giudicarla.

La qualità percepita è davvero elevata, con assemblaggi curati. Solo la cover plastica attorno alla serratura d’accensione tende a scricchiolare al tatto. Non ci sono cavi fuori posto, sono ben raccordati e lontani dalla vista, ed emergono molti dettagli curati come lo stemma sul fanale posteriore. Gli inserti in plastica nera al lato del serbatoio sono un omaggio alla Trident del 1968 e su questi campeggia il logo ‘TRIDENT’ in cui la ‘E’, altro dettaglio piacevole, risulta essere composta dai tre rebbi del tridente che attraversa la scritta.

Negli ultimi decenni sempre più spesso entra nelle orecchie l’adagio secondo cui 100 CV bastano su strada. Se fossero ancora meno? 81 cavalli bastano? Perdio, se sono come quelli della Trident 660 sì! L’erogazione del suo tricilindrico è pulita, lineare, fino ai 10.500 giri/min del limitatore. La spinta cresce costante senza buchi o flessi da 2.000 giri/min fino alla fine senza calare. Pur senza accelerazioni mozzafiato questo tricilindrico è davvero gustoso e appagante, vedasi i soli cinque secondi impiegati per passare da 70 a 120 km/h in sesta marcia a nemmeno 6.000 giri/min. Piacevolissimo il sound, da moto di categoria superiore.

Per arrivare a questo risultato in Triumph hanno preso il motore tricilindrico della Street Triple S – a sua volta derivato dal 765 cc delle Street Triple R e RS a sua volta nato dalle ceneri del vecchio 675cc della Daytona, che al mercato mio padre comprò – e l’hanno rifatto quasi da capo. Con la Street Triple S questa Trident 660 condivide la cilindrata totale, 660cc, il basamento e il numero di valvole. Fine. Cambiano albero, bielle, misure di alesaggio e corsa, canne dei cilindri e tutta la testata. Ovviamente anche i pistoni. Oltretutto questo è un motore pensato per tutto il mondo, quindi garantisce coppia e potenza dichiarate anche utilizzando benzine additivate con etanolo -fino al 10%- o di scarsa qualità -minimo RON 91. Il telaio, su misura, è un traliccio in tubi d’acciaio così come il forcellone scatolato.

Fra peso e potenza, la Trident offre le migliori prestazioni in accelerazione passati i 7.000 giri/min, pur senza dare calci nel sedere. Tuttavia la buona dose di potenza espressa già a bassi e medi regimi viene esaltata da una rapportatura relativamente corta, restituendo un’elasticità di marcia tale che si sta benissimo in sesta marcia pure per lunghi tratti anche a basse velocità. La 660 di Hinckley riesce a strapparti sempre un bel sorriso godereccio dando gas fuori da una curva lenta, che sia un tornante in salita o una rotonda, indipendentemente dal regime di rotazione. Va segnalata una vibrazione particolare a bassa frequenza che inizia dopo i 3.500 giri/min e finisce 7-800 giri più tardi, presente solo dando più di metà gas. Come se la moto fremesse. Altre vibrazioni si possono percepire ai regimi più alti su manubrio e pedane, sono ad alta frequenza ma mai fastidiose.

Parlando di consumi, la Trident è anche abbastanza parca. 20 km/l di media complessiva nel nostro test durato una settimana fra autostrada, città, campagna e Alpi. Dando spesso gas inutilmente solo per il gusto che questo tre cilindri sa dare pur restando in prossimità dei limiti di velocità. Perché la Trident 660 canta davvero bene. Snocciolare una marcia dopo l’altra è proprio gustoso grazie ad un cambio perfetto, come in questi casi, con innesti secchi ed una leva dall’escursione corta. Anche la spaziatura dei rapporti concorre in questo piacere: intuitiva e costante, dalla prima alla quinta quando si passa a 5.000 giri/min al rapporto superiore il calo è di mille rpm, di circa 700 unità dalla quinta alla sesta. La frizione, a cavo, è abbastanza morbida e di facile modulazione, mentre i più insaziabili potrebbero farsi ingolosire dal quick shifter bidirezionale, optional non presente sulla moto a nostra disposizione.

Il piacere che si prova ad ogni uscita di curva è sostenuto da un buon mono posteriore, regolabile nel solo precarico, che quando si sta sul gas a moto piegata si comprime di quel tanto che basta per restituire gran senso di trazione. La taratura del mono è ben centrata tra la guida rilassata e quella più sportiva, risulta appena secco nel rispondere alle asperità ma senza scomporre la moto. Anche la forcella risulta affidabile in accelerazione, ma è troppo cedevole in frenata. Nella prima metà della corsa la forcella cede molto, anche con frenate di media intensità. La moto non si scompone ma la sensazione è quella di essere Toprak per via del trasferimento di carico. Peccato, perché si tratta pur sempre di una Showa da 41 mm anche se non regolabile. Nel complesso le sospensioni della Trident sono ben frenate in estensione, non si ha la sensazione di galleggiare e offrono un gran feeling.

Il bilanciamento della moto predilige il posteriore favorendo una guida di gas per raccordare le curve, anche solo un filo. Forse Triumph ha fatto questa scelta proprio per esaltare le doti del motore. Disattivando il TC ci possono essere delle perdite di aderenza, ma sempre con preavviso e facili da gestire. Molto divertente. Inoltre le geometrie del braccio posteriore restituiscono un piacevole effetto anti-dive usando il freno posteriore – per sentirsi meno Toprak – e in uscita di curva, dando gas in maniera lineare e costante raddrizzando la moto c’è un piacevole effetto anti-squat – per sentirsi un po’ Dani. In ingresso di curva la Trident è neutra, a questo concorre il profilo molto rotondo del Michelin Road 5 anteriore, e non richiede particolari sforzi per raggiungere il punto di corda.

La sorpresa in frenata arriva dalle pinze Nissin anteriori, pinze monoblocco a quattro pistoncini che mordono dischi da 310 mm. No non sono radiali, sì sono assiali. Non faranno figo, rendendo meno vistosa questa Trident, ma la potenza frenante è ottima, quasi da sportiva. La modulabilità che offre la pompa al manubrio è fantastica, sia in pressione che in rilascio, mentre la prima parte di corsa della leva restituisce poca forza frenante, forse una scelta fatta dalla Casa per andare incontro ai beginners. Veramente un ottimo impianto frenante, parzialmente castrato da una forcella rivedibile. Monoblocco made in Nissin anche la pinza posteriore che ci si ritrova a usare spesso, non solo per limitare i trasferimenti di carico in frenata ma anche per sopperire allo scarso freno motore.

Belle le pedane in alluminio, lucidate a specchio che fa figo, segnate da una zigrinatura in grado di offrire un elevato livello di aderenza a scarponcini e stivaletti, ma pure ad un paio di scarpe. Queste pedane sono quasi centrate rispetto all’interasse della Trident, arretrate quel cicinin che basta, e relativamente vicine alla sella, forse troppo per chi supera i 175 cm. La loro posizione rende la moto sensibile alla spinta che si fa su di esse, col piacevole effetto di un mezzo più facile quando si deve andare a variarne l’inclinazione per cambi di direzione e ingressi o uscite di curva.

Elevato anche il grip offerto dalle manopole, poste agli estremi di un manubrio molto largo da impugnare. Apprezzabili gli specchietti bar end, oltre ad essere di pregevole fattura offrono pure un’ottima visuale posteriore, non ci si vede mai le proprie spalle, senza risultare mai di ingombro passando attraverso spazi angusti. Purtroppo si tratta di un accessorio a parte, la Trident 660 esce di serie con gli specchietti tradizionali. Lo stesso vale per il puntale in alluminio spazzolato e le maniglie per il passeggero presenti nella moto messaci a disposizione di Triumph Italia.

La sella, posta a 805 mm da terra, è stretta dove incontra il serbatoio. Questo profilo da un lato permette davvero a chiunque di poggiare saldamente i piedi a terra, dall’altro restituisce una sella comoda a patto di sedersi tutto indietro. Se non si raggiungono i 180 cm di altezza, sulla Trident ci si ritrova con il busto proteso in avanti godendo di una ergonomia che nel complesso restituisce gran senso di padronanza del mezzo.

La strumentazione mista LCD e TFT è sempre leggibile, non soffre in controluce, peccato sia troppo in basso e fuori dal campo visivo: bisogna abbassare lo sguardo per visionarla, o addirittura abbassare leggermente la testa se si utilizza un casco con paranaso. Inesistente e inattesa la protezione aerodinamica, impensabili lunghe trasferte autostradali dove peraltro il motore si mantiene in prossimità dei 6.500 giri/min. Due i riding mode disponibili sulla Trident 660, Road e Rain che agiscono su taratura di Traction Control, che lavora anche da Wheelie Control, ABS e Ride by Wire. Manca la piattaforma ineziale. La modalità da bagnato addolcisce la risposta motore nel primo 30% di apertura del gas, rendendo più invasivi TC e ABS.

In sintesi Trident 660 di Triumph non è semplicemente una roadster, ma una vera roamer inglese. Da prendere per godersi anche solo dieci minuti di spensieratezza, a zonzo senza mete e patemi. A cuor leggero. Si tratta di un mezzo ideale come prima moto perché facile e sincera, pur rimanendo appagante anche a lungo termine. È pure ideale se si è alla ricerca di una seconda moto scacciapensieri, per divertirsi senza troppi pensieri riguardanti meteo e condizioni dell’asfalto, da affiancare ad una prima moto più specialistica come una sportiva o una adventure. Si tratta di una moto divertente, disponibile anche in arancione, nero e grigio a partire da € 8.295,00.

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