Design stories: il telaio della moto - Motociclismo

2022-08-20 12:10:09 By : Ms. Kate Lau

Il design è un gesto creativo unito alla conoscenza della meccanica: questo assunto trova ampio riscontro nei telai delle motociclette. Oggigiorno, infatti, i designer partecipano attivamente alla definizione del layout della componente ciclistica delle moto, sin dalla prima fase dei concept. Partendo dal dogma che “la moto deve essere bella anche svestita”

In questo articolo prendiamo in considerazione un componente essenziale della moto, ovvero il telaio. Quanto può essere disegnato? Quanto è coinvolto un designer nella definizione del layout ciclistico? Quanto può intervenire nel modificarlo? Vediamo di rispondere a tutte queste domande. In passato il designer era colui che riceveva dai progettisti telaio e motore da vestire, carrozzare. Ora invece la sua figura è presente sin dall’inizio, può condizionare i volumi di un motore e le quote ciclistiche, perché progettazione, marketing e designer interagiscono sin dall’inizio. Una bella moto, per essere tale, deve esserlo anche svestita (“anche”, non “solo”, altrimenti significa che il designer non ha fatto un buon lavoro, con la carrozzeria...). Il telaio ha ruolo fondamentale per raggiungere questo obiettivo: ecco dunque che il designer assume un ruolo centrale sin dai primi bozzetti. Ma non è stato sempre così. All’inizio della storia delle motociclette, i telai erano semplici triangoli tubolari di biciclette con un telaio piazzato in mezzo, che poi si sono evoluti con layout e materiali sempre più complessi e raffinati. Fino alla fine degli anni 70, la gran parte della produzione mondiale di biciclette faceva affidamento a telai in tubi di acciaio (in pochi casi in lamiera o scatolati): telaio e stile erano ancora due concetti separati. Nonostante ciò, anche senza commistione tra i due, nacquero moto bellissime. Non lo metto in discussione.

Fino agli anni Settanta, il telaio è solo elemento strutturale, non estetico: nella maggior parte dei casi, semplici tubi tondi che sorreggono il motore, verniciati di nero quasi a non volerne sottolineare la presenza. Ma all’inizio del decennio successivo, con la Honda VF750F (qui sopra) si inizia a utilizzare il telaio come elemento stilistico di primo piano: cambia anche il colore, visibilmente metallico proprio per esaltarne la presenza. L’evoluzione di questo concetto si affina negli anni 90, quando si fa ampio uso dei perimetrali in alluminio. In alcuni casi, per contenere i costi, si utilizzano elementi estrusi, come la Bimota SB7, che estremizza il collegamento diretto sterzo-forcellone, ma in questo caso l’effetto estetico è discutibile. Il telaio, poi, così largo è anche ergonomicamente problematico. L’esasperazione del concetto di telaio come perfetto connubio tra tecnica ed estetica arriva dalle competizioni, con i monoscocca, leggeri e strutturalmente rigidi, ma estremamente complessi – e costosi – da realizzare

I primi segnali di telai che influenzano il layout della moto con il loro disegno, arrivano dalle corse, con i telai perimetrali, tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80. La vera scossa arriva con l’utilizzo dell’alluminio al posto dell’acciaio. È una scossa anche grafica: il nudo metallo è messo in mostra. Parallelamente nascono anche moto molto sexy, sempre nelle competizioni: ci sono soluzioni ardite come la ELF, praticamente priva di telaio, e le monoscocche di Kawasaki, Ossa, Hoffenstadt, che inseguono funzione e innovazione. Per noi designer, sempre affamati di nuovo, vediamo questa innovazione come una manna, un’anomalia nella parte centrale della moto che è uno stimolo per fuggire dalle linee orizzontali viste fino ad allora. Un elemento così dirompente crea tanta vivacità: l’innovazione tecnologica dà slancio a quella stilistica, quando spesso, invece, è l’urgenza del nuovo dettata dal design che accelera l’impulso tecnologico. Lancio un messaggio ai giovani designer: avere una buona conoscenza tecnica di tutto quanto riguarda la meccanica della moto (che non significa essere degli ingegneri) per poter usare sia arte sia tecnica, conoscere le potenzialità tecnologiche dei materiali e dei metodi di produzione usati, è indispensabile per innovare l’estetica. Una duttilità creativa senza la quale sarebbe impossibile difendere le idee, perdendo credibilità. La prima moto a cogliere questa occasione è la Honda VF750 del 1983. Il serbatoio non lo cavalca, ma si appoggia sopra: tutte le linee (carena e puntale) ne sono fortemente influenzate. Diventa come una cornice a cui gli altri elementi sono ancorati e la seguono. Ma siamo ancora in un periodo “bidimensionale”: il disegno si apprezza solo nella vista laterale, non c’era ancora la plasticità e la sinuosità che si esplorerà negli anni a seguire. Resta comunque uno dei primi esempi dove meccanica e carrozzeria sono disegnate insieme, senza rapporto conflittuale.

Da questo concetto si passa al doppio trave in alluminio, ampiamente diffuso, dove quasi sempre c’è una direttrice che unisce il cannotto di sterzo all’attacco del forcellone, allargandosi e fasciando il motore. È un componente leader nel design che influenza e inflaziona tutti i componenti che gli stanno introno. Su uno schema così invasivo e consolidato, nasce la sfida di creare delle differenze, per distinguersi. Plasmare le superfici di un telaio così, significa farlo con almeno un paio di ingegneri alle spalle che verificano e scansionano di continuo quanto si stia facendo con il clay. È una fase estremamente impegnativa e delicata di reciproca tolleranza e comprensione. Di fatto è una ormai accettata “invasione di territorio”, un tempo incorruttibile. Esistono casi in cui la scelta è obbligata: motori roventi, che emanano molto calore, non possono essere imbrigliati in telai “chiusi” come un doppio trave: in situazioni come questa, un “aerato” traliccio in tubi è preferibile, dal punto di vista tecnico. Ducati ci porta un esempio importante nell’evoluzione del concetto di design in rapporto al telaio. Prima le moto di Borgo Panigale erano riconoscibilissime per il loro motore a L – dominante nel layout – incastonato nel telaio a traliccio. Oggi (con la Panigale, ma anche con la Monster e la Multistrada) siamo di fronte ad un sofisticato e razionale incastro di componenti tecnici e carrozzeria che di fatto rimescolano reciprocamente i ruoli. Voglio chiudere con un appunto sui telai “semplici”: i designer devono prestare attenzione a non abusare della zona centrale, tra motore e pedane. Se hai un telaio che “non ti aiuta”, non cominciare a mettere pezzi e pezzettini per coprirlo. Soprattutto se la qualità e le finiture di queste parti non sono adeguate, altrimenti si rischia di disegnare un’accozzaglia inguardabile. In molti casi, il design del telaio ha avuto un ruolo determinante nell’immagine del brand, a volte rappresentandone il cavallo di battaglia (traliccio Ducati, doppio trave Aprilia, Deltabox Yamaha): domani sarà ancora così?

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